11 luglio 2010
XV DOMENICA DEL T.O. (ANNO C)
Dal libro del Deuteronomio 30,10-14
Dal Salmo 18
Dalla lettera di S. Paolo ai Colossesi 1,15-20
Dal Vangelo secondo Luca 10,25-37
I brani che la liturgia domenicale pone alla nostra attenzione sono un esempio della didattica della chiesa, madre e maestra. La prima lettura, tratta dal Deuteronomio, uno dei libri del Pentateuco, ci riporta ai tempi di Mosè e all’accettazione, da parte di tutto il popolo, dei comandi del Signore. E’ un brano bellissimo, dal linguaggio estremamente attuale: «Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te… Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».
Non è più possibile, dunque, accampare scuse; l’accoglienza della legge richiede la conversione totale al Signore. La parola del Signore è come piantata nel cuore del credente, affinché venga messa in pratica. Siamo nel vecchio testamento eppure il programma è chiaro: la legge deve abitare nella bocca e nel cuore di coloro che appartengono al Signore
Chiediamoci: ci siamo convertiti “al Signore con tutto il cuore e con tutta l’anima?” Quali scuse abbiamo per giustificare la lontananza dalla Parola? L’ignoranza della legge di Dio?.
Se è questa la nostra condizione oggi possiamo provare a riconoscerci in qualcuno dei cinque personaggi di cui parla Gesù nel brano del vangelo di Luca: un dottore della legge, un uomo derubato e ferito, un sacerdote, un levita, un samaritano.
Il primo, esperto conoscitore della legge, si avvicina a Gesù per metterlo alla prova. La sua domanda somiglia molto agli interrogativi, spesso capziosi, che sentiamo tra la gente, posti forse non tanto per una sincera ricerca del bene, quanto per poter, in qualche modo, legittimare i propri comportamenti.
Gesù non dà una risposta; riporta l’interlocutore nel campo della sua conoscenza:«Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?».
Lui, attento studioso, non può che rispondere bene: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso».
Gesù lo promuove a pieni voti, come conoscitore della legge, e aggiunge: «…fa’ questo e vivrai». Due verbi che tagliano ogni ulteriore discussione, ma, ieri come oggi, c’è una replica: «E chi è mio prossimo?».
Quel dottore della legge in realtà non lo voleva sapere, forse un po’ come noi, perché facciamo fatica persino a sopportare qualche familiare dal carattere un po’ difficile, a stento riusciamo ad accettare il vicino di casa, non possiamo allargare troppo la cerchia dei nostri “prossimi” rischiando di dover amare oltre l’angusto cerchio della amicizie che abbiamo!
Gesù ci conosce bene ed oggi racconta, proprio a noi, la storia di un incidente avvenuto sulla strada che va da Gerusalemme a Gerico dove un uomo ha subito un’aggressione violenta a scopo di rapina ed è lasciato a terra mezzo morto, in un lago di sangue. Niente di nuovo sotto il sole né la violenza né ciò che accade in seguito.
La strada è percorsa da diverse persone e Gesù, da attento osservatore, riprende tutta la scena: “per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre”.
Il poveraccio, che è molto sofferente, è ormai convinto che rimarrà là in terra a morire,perché vede giungere un Samaritano ed è ben sicuro che non lo aiuterà. “Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione”. Uno straniero dunque, uno che era in viaggio verso una meta ben precisa, che aveva da fare e non aveva tempo da perdere ma che, alla vista del ferito riverso per terra sanguinante, viene travolto da un’ondata di compassione. Non resiste, si commuove per la condizione di quell’uomo, gli si spezza il cuore e, mettendo da parte tutti i suoi impegni, si ferma a soccorrerlo.
Come ha sottolineato il nostro vescovo, inizia qui l’elenco dei dieci verbi della misericordia: vedere, avere compassione, farsi vicino, fasciare le ferite, versare olio e vino, caricarselo, portarlo al riparo, prendersi cura, pagare le spese, tornare nel tempo.
Anche gli altri due, passando vicino al ferito,lo avevano visto, ma il loro era stato uno sguardo distratto, per caso, come il loro camminare, come il loro cuore, mentre i gesti del Samaritano, dettati da un cuore che si lascia commuovere, sono come i mattoni per costruire un ponte verso l’altro, chiunque esso sia.
Su quella strada, siamo tutti noi quando la vita ci ferisce; bisognosi di compassione, vorremmo che qualcuno si prendesse cura di noi, che si accorgesse che siamo “a terra”, che il nostro cuore sanguina per i dispiaceri, che abbiamo la necessità di qualcuno che curi le nostre piaghe versandovi l’olio della consolazione e il vino della speranza, che ci prenda “a bordo”, che ci conduca al riparo, che prenda a cuore la nostra situazione, che in qualche modo spenda, non in maniera occasionale, il suo tempo per noi.
Il racconto di Gesù si conclude con una domanda:«Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Dopo la lezione, il dottore della legge sa cosa rispondere: «Chi ha avuto compassione di lui».
Non c’è replica che tenga: la compassione salva l’uomo ferito, salverà il prossimo, salverà noi.
Il cuore di Dio, ricco di misericordia, si commuove per ogni persona, tanto che in Gesù stesso si è fatto a noi prossimo; è venuto sulla nostra strada, ci ha guardati, si è fermato, si è chinato, ha curato le nostre ferite, ci ha consolati, si è caricato dei nostri dolori, ci ha portato al riparo da ogni male, ci ha risollevati, si è preso cura di noi.
Maria, madre della misericordia, ti preghiamo di insegnarci ad essere solleciti alle necessità degli altri come lo fosti tu nei confronti di Elisabetta. Il tuo partire “subito” per la montagna sia l’esempio che ci conduce fuori dai comodi delle nostre abitudini e ci renda attenti alle esigenze delle persone, senza alcuna distinzione. Il tuo inerpicarti per la montagna, il lungo e difficile cammino affrontato, i tre mesi durante i quali sei stata di sostegno ad Elisabetta siano la misura
dei nostri gesti. Vogliamo farci prossimi al Signore per poter essere prossimi con chiunque incontreremo sulla strada della nostra quotidianità. Amen.
CB 11.07.2010 MTM