26 settembre 2010
XXVI Domenica del T. O. (Anno C)
Dal libro del profeta Amos 6,1.4-7
Dal Salmo 145
Dalla 1^ lettera di S. Paolo a Timoteo 6,11-16
Dal Vangelo secondo Luca 16,19-31
La liturgia d questa domenica usa la didattica del confronto. Nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Amos, infatti, c’è la descrizione degli “spensierati di Sion” che mangiano, cantano, bevono, si profumano e non si preoccupano di nulla.
Sono la fotografia degli spensierati di oggi; molti, forse soprattutto giovani, ma sicuramente non i soli, vivono senza “futuro” in un “qui ed ora” senza prospettive, in una specie di vortice dove soddisfare ogni desiderio, spesso indotto da mode senza costrutto.
E’ un quadro desolante ed è la conferma della fragilità dell’uomo che vive senza mete, senza confronto con altri uomini, soprattutto senza relazione con Dio.
Quest’uomo, in realtà, non è uno spensierato come si intende nell’accezione comune bensì è un uomo privo di pensieri, incapace di progettare, non all’altezza di guardare lontano, inadeguato a darsi mete alte.
Mi chiedo se anche noi apparteniamo a questa categoria; se spendiamo la vita unicamente per mangiare, per fare la carriera, per curare solo i fatti nostri o non anche per “volare alto” verso obiettivi che hanno lo scopo di renderci capaci di guardare ogni uomo come fratello, ogni persona come una ricchezza, ogni incontro come un’occasione per crescere.
La seconda lettura, tratta dalla prima lettera di s. Paolo a Timoteo fa da contraltare alla descrizione della prima. E’ un’esortazione accorata, una raccomandazione, quasi una preghiera: “Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza”. Sono le mete, tutte belle, alle quali deve tendere l’uomo, ogni uomo, tutti noi. S. Paolo, rivolgendosi a Timoteo, lo chiama “uomo di Dio”.
Viene naturale chiedersi:«Posso usare per me questa denominazione, sono cioè “di Dio”, gli appartengo in piena coscienza e volontà? Combatto la buona battaglia della fede? Cerco di raggiungere la vita eterna alla quale sono stato chiamato?».
Anche il brano del vangelo pone alla nostra attenzione due immagini di persone molto diverse: quella di “un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti” e quella di “un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe”.
Certamente non ci riconosciamo in questi due personaggi della parabola che Gesù racconta ai farisei: l’uno troppo ricco e l’altro troppo povero; ma il seguito del racconto è inquietante perché ci riguarda molto da vicino.
Il racconto continua:“Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto”.
Terribile descrizione: la morte del povero Lazzaro ha un seguito; egli viene portato dagli angeli laddove ha sempre desiderato di andare mentre il ricco muore e viene sepolto e la sua storia è conclusa. In vita le prospettive sono state diverse e lo sono anche nella morte: il povero viene innalzato mentre il ricco rimane a mani vuote proprio come canta Maria nel suo “Magnificat”.
Il ricco, dal fondo della sua desolazione, alza la voce e, forse per la prima volta, “prega” Abramo, ma è tardi: non è quello il momento né il luogo della preghiera. Ha perso il tempo dietro le vanità, il lusso, i banchetti senza accorgersi di essere miope, incapace di guardare oltre il suo piatto, oltre l’orlo dei suoi vestiti di porpora e di lino finissimo, oltre l’uscio di casa dove giaceva Lazzaro povero, coperto di piaghe e affamato. Il ricco con la sua amara esperienza vorrebbe mettere sull’avviso i suoi fratelli sulla terra, “ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”.
Signore Gesù come non chiederti perdono per i nostri sguardi che rendono trasparente e perciò invisibile il povero. Spesso la nostra elemosina è più piccola delle briciole che sono sulle nostre tavole; siamo meno attenti dei cani che almeno leccavano, disinfettandole, le piaghe di Lazzaro. Perdonaci perché, pur non essendo ricchi, talvolta abbiamo la stessa miopia di Epulone: non riusciamo a vedere i bisogni degli altri, chini come siamo solo sui nostri. Abbiamo anche noi Mosè e i profeti, abbiamo la Parola di Dio, abbiamo la Chiesa: ti chiediamo di donarci la fedeltà all’ascolto dei tuoi insegnamenti. Con il tuo aiuto vogliamo combattere la buona battaglia della fede e raggiungere la vita eterna per lodarti e benedirti per sempre. Amen.
CB 26.09.2010 MTM