03 MARZO 2013
III DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO C
Dal libro dell’Èsodo 3,1-8.13-15
Dal Salmo 102
Dalla prima lettera di S. Paolo ai Corìnzi 10,1-6.10-12
Dal Vangelo secondo Luca 13,1-9
Gesù racconta questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò».
In quel tale possiamo anche vedere un padre che alleva il figlio speranzoso di veder realizzati i propri sogni, ma il figlio non termina gli studi, oppure un professore che studia e si impegna per i suoi alunni e non riesce a vederne i risultati o il dirigente di un’azienda che organizza bene il lavoro dei suoi dipendenti, ma uno, quello nel quale aveva riposto la sua fiducia, non si impegna e fa perdere alla ditta una grossa committenza.
Che fare? Come a quel tale della parabola viene voglia di tagliare l’albero di fichi, così viene voglia a quel padre di cacciare il figlio da casa, al professore di bocciare l’alunno svogliato, al dirigent di licenziare l’operaio sfaticato. Gesti che dicono la stanchezza e la delusione per speranze non realizzate.
“Taglialo, dunque! Perché deve sfruttare il terreno?” È la soluzione radicale che propone il padrone, ma il vignaiolo non ci sta. Lui è abituato a coltivarle le piante non ad esigere frutti perfetti ad ogni costo; è capace di vedere oltre, di scorgere sul ramo, che ormai sembra secco, il rigonfiamento di una minuscola gemma, segno di una vitalità che sembrava persa. Il vignaiolo ha imparato dalla natura l’arte di aspettare e di sperare. Il suo compito non è pretendere frutti, ma aver cura di tutto affinché ogni pianta produca ciò che può.
“Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire».
Oggi no, non stronchiamo l’albero, il figlio disubbidiente, l’alunno svogliato, l’operaio incapace, piuttosto mettiamo in atto tutte quelle strategie che possono permettere agli altri di “portare frutto”. Siamo chiamati, ciascuno nel proprio ruolo, a zappare, a mettere concime e ad attendere. Siamo nominati vignaioli sul campo, responsabili della cura di chi abbiamo a fianco, senza mai stancarci di coltivare, nella speranza che “porterà frutti per l’avvenire”.
In una società che scambia le persone per macchine, ci viene ricordato che siamo tutti piante molto fragili. Per noi ci sono stati vignaioli che ci hanno curati ed hanno atteso i nostri frutti ed ora è il tempo per noi di essere vignaioli a nostra volta, capaci di intravedere un futuro ricco di frutti anche quando tutto sembra perduto.
Coltivare la speranza che è in ogni uomo, saper vedere il bene dentro le situazioni anche dolorose della vita, acquisire la sapienza di scorgere le potenzialità che sono nel fondo di ogni persona è il compito che oggi ci affida questa pagina del vangelo.
Signore, ti chiediamo perdono, perché troppe volte siamo stati esigenti verso gli altri pretendendo molto senza tener conto delle difficoltà che avevano. Abbiamo giudicato e “tagliato” fuori l’altro perché non era come volevamo noi. Abbiamo preteso quello che forse neppure noi siamo in grado di dare. Trasformaci in vignaioli capaci, attenti, pazienti affinché impariamo a vedere al di là delle apparenze. Assaporeremo i dolcissimi frutti che una cura amorevole consente, ad ogni persona, di produrre. Amen.
CB 03.03.13 MTM