10 MARZO 2013
IV DOMENICA DI QUARESIMA – LAETARE – ANNO C
Dal libro di Giosuè 5,9.10-12
Dal Salmo 53
Dalla 2ª lettera di S. Paolo ai Corinti 5,17-21
Dal Vangelo secondo Luca 15,1-3.11-32
Signore ti ringrazio perché usi un linguaggio semplice per farmi capire la grandezza del Tuo amore. Ti prego manda il Tuo Spirito perché mi faccia ricordare quanto sono amata da Te.
Oggi questa parabola mi ha sorpreso: pensavo di saperla a memoria e invece ho dovuto fare i conti con la ricchezza della Parola tanto antica e tanto nuova.
I fatti sono abbastanza noti al punto che leggiamo questo brano quasi come si leggono le notizie sui giornali posti fuori dall’edicola: solo le scritte grandi e solo ciò che fa più scandalo. E infatti tutto il racconto ci sembra uno scandalo; una lettura superficiale ci porta, in qualche modo, a parteggiare per il figlio maggiore, serio, lavoratore e senza grilli per la testa e a prendere le distanze dal minore che, in poco tempo, dilapida un patrimonio.
La parabola inizia con la presentazione di una famiglia nella quale c’è un padre e due figli. Una famiglia come le nostre dove il padre è padre e i figli sono figli o forse dobbiamo dire come le famiglie di ieri perché oggi i ruoli all’interno delle famiglie qualche volta sono un po’ confusi? Comunque in questa famiglia succede qualcosa, uno smembramento; infatti il figlio più piccolo si sente la famiglia come un luogo per sé ”stretto” e decide di allargare i suoi orizzonti andando via, pensando che altrove troverà cose più interessanti e la sua ansia di fare nuove esperienze sarà soddisfatta.
Con grande generosità, ma senza alcun criterio, spende tutto e si vede costretto a diventare ciò che mai avrebbe immaginato: per sopravvivere diventa SERVO e guardiano dei porci. Ruberebbe le carrube ai maiali per la fame, ma non gli è permesso, può condividere con gli animali solo la puzza del letame. Seduto “sul trono” della sua misera condizione riflette sul suo “prima” e sul suo “ora”.
Nella casa del padre era il figlio piccolo, amato, coccolato, riverito dai servi, aveva la compagnia del fratello grande che gli dava sicurezza … Ora è solo, disprezzato, morto di fame, sporco e senza nessuno che si prenda cura di lui.
“Allora rientrò in se stesso …” Fece un passo che noi tutti dovremmo fare più spesso: si mise a riflettere. Forse si mise semplicemente ad ascoltare lo stomaco, la sua fame. Noi non sappiamo bene cosa fece scattare in lui la decisione, però sappiamo cosa pensò mentre si sollevava dal letame di quella condizione servile: «Mi alzerò ed andrò da mio padre e gli dirò: “Padre ho peccato contro il cielo e contro te. Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio, trattami come uno dei tuoi servi”».
Il figlio scapestrato si incammina verso casa con la convinzione di averla combinata grossa e di non meritare niente. Ma il padre lo vede da lontano, gli corre incontro e non gli fa terminare la frase di scuse: lo abbraccia forte. Egli non vuole un altro servo; il padre rivuole il figlio.
-Facciamo festa perché questo mio FIGLIO era morto ed è tornato a vivere … qui, con me, con suo fratello, nella sua casa, nella sua famiglia … –
La festa, fatta di suoni, di chiasso, di cibo profumato attira il fratello maggiore che tornando dai campi, stupito, chiede ai servi il motivo di tanto clamore. E il servo risponde: – È tornato tuo FRATELLO e il PADRE ha deciso di festeggiarlo- .
Ci rendiamo tutti conto che il servo ha raccontato gli avvenimenti in maniera tale che il figlio maggiore si senta discriminato e quindi, come logica reazione, si inquieti. Il padre, sentendo le sue critiche, lascia la festa, esce fuori dalla casa, e come aveva già fatto con l’altro figlio, gli va incontro per pregarlo, per supplicarlo di entrare in casa..
Lui risponde: – Ecco io ti servo da tanti anni e tu non mi hai dato nemmeno un capretto e a questo tuo figlio … Ma Il padre insiste e lo chiama: – Figlio … – Ecco il nome! Ecco la relazione!
Questo padre non vuole servi ma figli, non vuole relazioni di timore, bensì di amore, non vuole rivendicazioni, ma accoglienza. Altro che capretto, altro che vitello grasso, altro che festa! Il padre vuole i figli, anche se sbagliano, anche se cercano di allontanarsi, anche se si inquietano!
Questo è il Padre che sta aspettando ognuno di noi; fa il primo passo, ci copre con le sue vesti, ci abbellisce con i suoi doni, ci nutre e ci ristora alla sua mensa, ci rassicura, non tiene conto delle nostre fughe; desidera solo che noi torniamo per vivere con Lui in maniera totale il nostro essere figli, amati da sempre e per sempre. Amen.
CB.10.03.2013.MTM