Ascolta il Vangelo
“Gesù si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite”. Il vangelo di oggi ci ricorda che non è detto che l’abbondanza di segni e di miracoli produca anche un’abbondanza di risultati, perché ciò che cambia la nostra vita non è avere un segno o un miracolo, ma trasformare la nostra vita in un segno e in un miracolo. Non è questa la lezione immensa dei santi? Quando pensiamo a loro pensiamo sempre alla loro capacità di ottenerci delle grazie, ma quasi mai pensiamo che il grande miracolo che ha visto loro come protagonisti è quello della loro vita. Molti di loro miracolosamente hanno conservato la fede e la fiducia in circostanze in cui la maggior parte di noi se ne sarebbe andata bestemmiando il cielo. Molti di loro hanno avuto miracolosamente speranza proprio quando tutto sembrava perduto. Molti di loro hanno miracolosamente amato quando meno conveniva e quando sembrava davvero tutto in perdita. È questo miracolo che fa di loro dei santi e non l’aver fatto o ricevuto segni straordinari. Giuda è arrivato a baciare Gesù, ma non mi sembra che quel segno così intimo e tangibile lo abbia convertito. E dov’erano tutte le folle sfamate da Gesù quando veniva condannato e crocifisso? Dov’erano tutti i ciechi, gli zoppi, i muti, i sordi, i lebbrosi che ha guarito? Se il Signore ci dà un segno è per convincerci a fare della nostra vita un segno, e non a chiederne altri giocando al rialzo e prendendo solo tempo. Lo facciamo perché fondamentalmente non vogliamo cambiare e ci è più semplice dare la colpa a qualcuno o a Dio stesso, cercando rassicurazioni in miracoli e segni. Essi ci sono dati come aiuto e non come sostituzione alla nostra libertà, e quando ciò accade essi diventano la nostra condanna.
L. M. Epicoco