Cristina e Giorgio, una coppia passata dalle tenebre del peccato alla luce della scoperta del sacramento nuziale e della forza delle armi spirituali. Così da oltre 20 anni – con l’aiuto di Dio e della Chiesa – mettono la loro esperienza a servizio di tante coppie in crisi
Una volta riemersi dalle sabbie mobili di una vita vissuta da “creatori” e non da creature, dopo aver incontrato Gesù Cristo, hanno messo a disposizione la loro sofferta esperienza per le famiglie in crisi, le coppie in difficoltà, gli sposi sfiduciati, spaesati, sconfitti. Da 20 anni svolgono questo servizio per la pastorale familiare diocesana di Perugia, e la loro casa ha sempre le porte spalancate.
E così, ascoltando, accompagnando, sempre affiancati da sacerdoti, Cristina e Giorgio si son ritrovati a diventare madrina e padrino di 57 figliocci. Perciò oltre ai loro quattro figli nella carne – Giorgia 29 anni, Vittoria 25 anni (sposa e mamma di Lorenzo, 1 anno), Michela 21 anni e Gabriele 19 – sono genitori di tanti figli spirituali. Un dono immenso per loro!
Per 15 anni hanno accompagnato i fidanzati con uno speciale corso prematrimoniale dove, partendo dalla loro esperienza di fidanzamento non cristiano, che li rendi particolarmente credibili – hanno sempre avuto la forza di annunciare ai partecipanti la verità sul matrimonio sacramento.
La loro storia l’hanno raccontata nel libro “Noi, storia di una chiesa domestica” a cui ha fatto seguito “Lui con Noi, piccoli sentieri per la coppia”, entrambi per la Tau editrice.
Ringrazio davvero Cristina per aver donato questa testimonianza così autentica.
Cristina, ti va di raccontarci come è iniziata la tua storia con Giorgio?
La nostra storia ha un prima e un dopo, il prima sono le tenebre, il dopo è la grande luce. Questa tenebra l’abbiamo vissuta nel nostro lungo fidanzamento, molto comune a tante altre coppie. Ci siamo conosciuti studenti a Perugia, Giorgio veniva da Lecce. Io studiavo Giurisprudenza e lui medicina, ed era molto indietro con gli esami universitari. Però certamente era già molto “chiamato” a fare ciò che fa oggi: il ginecologo. Quando ci siamo conosciuti credo di essere stata per lui un bel colpo di fulmine e una forte motivazione per lo studio. Ricordo che in pochissimi mesi diede tipo 15 esami e rapidamente riuscì a laurearsi.
Che fidanzamento avete vissuto?
Eravamo molto liberi di vederci, frequentarci, per cui abbiamo vissuto da sposati senza esserlo, lo scrivo anche nel libro, perché condividevamo tutto. I viaggi, le passioni comuni, il tempo libero e ovviamente anche l’intimità. Facevamo quello che ci piaceva. Quando ad un certo punto Giorgio vinse il primo incarico vicino Perugia, come normale evoluzione di un fidanzamento – eravamo effettivamente felici insieme – Giorgio propose di sposarci. “Ma guarda, alla fine anche no – risposi – perché sto bene così, mi sento libera, senza responsabilità”. Questo da una parte, ma dall’altra ero anche molto contenta della sua richiesta e perciò decidemmo di convolare a nozze.
Avevamo però un problema: non potevamo sposarci in Chiesa perché Giorgio nel corso della sua carriera aveva scelto – ingannato – di essere un medico abortista. In base ai numeri che venivano millantati dalle file culturali e politiche Pannelliane – che evidenziavano quanto fossero numerose le donne che morivano di aborto clandestino – lui, manipolato dalla menzogna che il demonio ti mette dentro, non poteva accettare che così tante mamme morissero. Perciò ritenne – pur consapevole della gravità di ciò che avrebbe commesso – che l’aborto in ospedale sarebbe stato il male minore per tutelare la vita di queste donne.
Per contro Giorgio, era talmente chiamato a fare il ginecologo per missione, che da bambino operava le bambole delle sorelle, tagliava la pancia, ci metteva dentro un piccolo oggetto e poi le faceva partorire. Aveva questa chiamata alla vita, la missione di collaborare alla nascita dei bambini. Però era entrato in questa trappola.
Perciò parlando del matrimonio mi disse chiaramente: non possiamo sposarci in Chiesa, sono uno scomunicato. Molti gli dicevano: “ma dai che ti importa, vai a confessarti, poi ti sposi”. Senza capire che non funziona così, che lui quel peccato lo avrebbe ricommesso e che chi pratica l’aborto, compreso coloro i quali collaborano, sono scomunicati perché commettono un’azione gravissima.
Come hai reagito di fronte al fatto che avreste dovuto sposarvi civilmente?
Ero un po’ dispiaciuta, solo per il fatto che avevo una nonna modista, era l’unica che qui a Perugia faceva le acconciature. Pensai che avrei dovuto rinunciare al velo, all’abito nuziale, ma poi interrogandomi capii che nemmeno io avevo il senso del sacramento: questo guardarci dentro fu un momento autentico. Ci sposammo al comune di Perugia il 9 settembre del 1989 e così è iniziata la nostra vita insieme.
Come sono stati i primi anni di matrimonio?
Avevamo due cose che giocavano a nostro sfavore, la prima era il peccato grave della convivenza in assenza del sacramento che non ci faceva vivere nella grazia di Dio, la seconda era il peccato di Giorgio, ovvero di praticare gli aborti. Una cosa che diciamo sempre alle coppie che seguiamo è che quando ci si sposa metti insieme due persone differenti che hanno uno zainetto ciascuno, un bagaglio: la famiglia d’origine. E quello zainetto è molto condizionante fino a che non risolvi le ferite dentro di te. Noi ci portavamo dentro ciascuno le proprie ferite. Ad esempio Giorgio, ultimo di 4 figli: la mamma era rimasta incinta di lui mentre applicava l’Ogino Clauss, un metodo non contraccettivo che perciò lasciava una porta aperta al concepimento, simile alle strategie naturali di oggi. Intorno a lei aveva tanta gente che le consigliava di abortire, a tal punto da da convincerla quasi: addirittura una parente si propose di accompagnarla, ma lei si ribellò dicendo: “questa cosa non la faccio”.
Giorgio è venuto a conoscenza di questi fatti che era ancora un ragazzino, e forse ha elaborato dentro di sé il desiderio di rivincita, come a dire: “non dovevo nascere, non ero desiderato, quindi mi riscatterò nella vita”. E questo ha condizionato molto le nostre dinamiche di coppia, perché un bambino che vive una ferita simile la riporterà nella vita adulta fino a che non ne prenderà coscienza. In Giorgio questo fatto ha determinato la sua idolatria del lavoro, lui doveva dimostrare che si era riscattato, che valeva, che era importante. La professione è stata la sua priorità: prima il lavoro, poi io. Una vera idolatria, addirittura si sentiva pure giustificato perché lo faceva per noi. Inoltre lui perse il padre all’età di 13 anni, e così passò da una situazione di benessere a una di semi-povertà. A lungo ha creduto che il lavoro, la stabilità economica, fosse il modo per garantirci una sicurezza nel caso lui fosse morto come suo papà.
Eravate infelici allora?
Ci siamo trovati così con le nostre povertà, fragilità, con questo bagaglio alle spalle. Lui un uomo silenzioso, non particolarmente affettuoso, che pensa al pane da guadagnare, che ascolta fino ad un certo punto, distratto, poco partecipe. Io non mi sentivo molto gratificata come donna. E perciò allo stesso tempo vivendo questa insoddisfazione reagii, come facciamo sempre noi mogli, con l’aggressività: puntando il dito, dicendo “tu sei così, tu non ascolti” ecc… La nostra aggressività provoca maggior chiusura negli uomini, che non possono capire le nostre esigenze. “Forse volevi un altro, io già faccio il mazzo per la nostra famiglia” erano le risposte di Giorgio. Questo era il nostro modo di relazionarci ed eravamo infelici. Io volevo sentirmi più amata da lui, lui più stimato e apprezzato da me. Noi eravamo due persone che vivevano insieme, eravamo compagni non coniugi, ma in realtà eravamo due mondi isolati, due binari paralleli. Andavamo avanti perché in fondo ci volevamo bene, ma non comunicavamo più, o perlomeno ci accontentavamo, “tanto le cose adesso vanno così…”.
Quando è nata la vostra prima figlia cosa è cambiato?
Nell’ ’89 ci siamo sposati civilmente, nel ’92 resto incinta di Giorgia. Ricordo che ogni aborto che mio marito praticava era per lui motivo di sofferenza, lo percepivo e lo sapevo. Quando rimasi in attesa conobbi un sacerdote meraviglioso con cui poi ho collaborato per circa una ventina d’anni. Lo incontro che ero ai primi mesi di gravidanza, inizio a frequentare un piccolo gruppo di preghiera e comincio a pregare per Giorgio. Il Signore sceglie sempre la donna che è più sensibile per aprire un varco.
Quindi, vuoi la notizia della gravidanza, vuoi che Giorgio rispetto al praticare aborti era arrivato allo stremo, vuoi che finalmente pregavo per lui, ad un certo punto mi disse che si sentiva al limite e avrebbe fatto obiezione di coscienza: così ci saremmo potuti sposare in Chiesa. Detto, fatto. Nel giro di pochissimo celebrammo il matrimonio: il 29 marzo del 1992, ero incinta di sette mesi. Ci sposiamo in Chiesa guardandoci negli occhi e ripetendo la meravigliosa formula. Paradossalmente però, proprio dopo la celebrazione del sacramento, peggiorò la nostra relazione. E questo è il punto fondamentale che oggi ci chiama a metterci a disposizione per aiutare tante coppie.
Puoi spiegarci meglio?
Eravamo diventati un progetto di Dio e questa cosa era tanto tanto invisa al nemico. Il demonio ce l’ha a morte con il matrimonio perché il matrimonio sacramento è il luogo massimo dell’amore pieno, a 360 gradi, è l’unico luogo in cui davvero i due diventano una sola carne, diventano uno, e sono chiamati a generare figli secondo il piano del Signore.
Per farcela dovevamo avere le armi giuste per combattere il maligno, invece noi – come la stragrande maggioranza delle coppie – faticavamo, perché oltre ad essere feriti e schiavi di tante piccole grandi cose, non impugnando le armi spirituali ci facevamo ingannare. Io e Giorgio anche dopo le nozze religiose eravamo gli stessi: non mi sentivo gratificata, lui non si sentiva capito ed eravamo ancora più attaccati dal demonio. Già prima eravamo finiti nelle sue mani avendo vissuto tanti anni una sessualità non benedetta da Dio, un matrimonio civile che non mette al centro Gesù Cristo. E poi eravamo deboli e fragili, incapaci di amare, e così ci siamo fatti stravolgere. Io lavoravo in banca, Giorgio era sempre molto preso con il suo lavoro, ci siamo feriti, fatti del male, ci siamo anche traditi. Eravamo arrivati ad un punto in cui pensavamo di non farcela. Nel frattempo nascevano gli altri figli. Noi volevamo ciascuno la propria felicità, ed è da qui che si sbaglia: io voglio essere felice, l’altro non mi dà quello che voglio, tu pretendi ma l’altro non ti offre ciò che reclami.
Soffrivi molto?
Era una vita non felice, però, quando sei schiavo del peccato la sofferenza è relativa, perché pensi che ciò che non hai sia giusto averlo diversamente: credi di essere l’unico padrone di te stesso. Il nemico ti dice: “ma non vedi che schifo che hai a casa? chi te lo fa fare? guarda qui, tutti ti dicono bella, tutti ti vorrebbero…”. Il demonio fa questo nella vita delle persone. Quando lo vivi ti senti come ubriaco, anche io mi sentivo così. Dicevo: “quanto sono amata, quanto sono desiderata…”. Soltanto dopo, quando arriva la solitudine, capisci che quella non era la pienezza e ti ritrovi completamente svuotato. Percepivo che la mia vita non era chiamata a quello, al tradimento, alla lontananza da mio marito. Il sacramento ci ha salvato la vita, altrimenti forse saremmo diventati due separati.
Perciò vi eravate sposati in Chiesa ma non era cambiato nulla, anzi, eravate ancora più in crisi…
Sì, perché il fatto di essere sposati in chiesa diventa la chiave di volta solo quando i coniugi lo comprendono. Noi eravamo deboli anche perché Giorgio, pur essendosi affrancato dagli aborti, è stato ancora per un po’ di tempo invischiato ad un’altra grande trappola: “Dio mi ha perdonato ma io non mi perdonerò mai per aver messo fine a quelle vite”. In fondo era superbia, si metteva al posto di Dio, e questo lo ha tenuto lontano dai sacramenti per altri anni. Lui stava così, io lontana da lui vivevo un po’ come volevo la mia vita. Ma grazie a Dio c’è stato questo sacerdote – quello che avevo incontrato quando aspettavo la nostra primogenita – che da un certo punto in poi non ho voluto più abbandonare. Sono tornata e gli ho confidato ciò che vivevo, la mia infelicità, e la mia incapacità di staccarmi da ciò a cui mi ero aggrappata perché non stavo bene con Giorgio. Ovviamente non ricevetti l’assoluzione perché non ero pentita degli sbagli che ancora commettevo, ma mantenevo però questo filo con questo uomo di Dio, questo dialogo. Lui era sacerdote esorcista della diocesi di Perugia e pregava per me. Così la mia piccola volontà – come scrivo nel libro – unita alla grande volontà di Dio ha fatto sì che giorno dopo giorno mi avvicinassi sempre di più a Gesù. Il mio stare vicina al Signore, il fatto che cominciassi ad accogliere tutto quello che piano piano la Chiesa mi stava offrendo, ha dato inizio al mio cammino. Giorgio era ancora lontano dai sacramenti finché un bel giorno mi dice: “vado a confessarmi”, e da quella confessione fiume, lui ha finalmente capito che Dio lo aveva perdonato.
E poi cosa accadde?
Facemmo insieme l’esperienza del seminario dell’effusione del Rinnovamento dello Spirito, e attraverso questa esperienza siamo letteralmente rinati come persone e come coppia. Dal 19 dicembre ’99 ad oggi non ho mai smesso di vivere l’Eucaristia quotidiana, perché come dico sempre, tu puoi fare anche un cammino di fede che dura anni, ma non è detto che hai incontrato Cristo. Perché chi Lo incontra non può non vivere l’Eucaristia quotidiana che non è un atteggiamento di legge ma è un desiderio del cuore. Gesù lo conosci solo se Lo frequenti.
Quando avete capito che la vostra missione era accompagnare gli sposi in difficoltà?
Quando siamo rinati come coppia sentivamo l’esigenza di fare qualcosa insieme per gli altri. Soprattutto io, perciò molto è venuto da me, e questo lo dico anche per tutte quelle donne che spesso si trovano a dover muovere i primi passi nel cammino di fede da sole. Perché se tu sposa sarai davvero testimone, diventerai una calamita che attrae con la presenza di Gesù, e vedrai che prima o poi anche tuo marito si attaccherà alla fede. Non glielo devi dire con le parole o forzandolo, glielo devi testimoniare, la fede passa per attrazione non per sfinimento. Io ho iniziato da sola, andavo ai gruppi di preghiera del Rinnovamento.
Spiegaci l’essenza di questa “scoperta”
Il matrimonio è l’incontro di due poveri, e soltanto io posso rendere ricco mio marito e viceversa. Partendo da questa consapevolezza guardavo Giorgio e non gli dicevo più “tu non mi ascolti, tu non mi parli…”, ma capivo che dovevo entrare nella sua storia. Spesso molte coppie non conoscono nulla della storia dell’altro. Quando vengono a parlare a casa nostra io chiedo: “mi racconti la storia di tuo marito/moglie?” e non sanno cosa rispondere. Io ho compreso che dovevo amare la storia di Giorgio, e dirmi: “ma se lui non riesce a fare questo per me è perché non può, perché è povero, non può darmi qualcosa che non ha”. E allora solo io posso renderlo ricco, tirare fuori da lui talenti che non sa di avere a causa del fardello che porta sulle spalle. Il primo figlio che la coppia deve generare è proprio il “noi”.
So che quando andrò in Cielo il Signore mi dirà: “ma cosa ne hai fatto di Giorgio quando te l’ho regalato?” ed io dovrò dire: “ho cercato di renderlo un gioiello”. Di renderlo ricco quel povero che non poteva darmi ciò che pretendevo. Questo significa diventare una coppia santa, la santità è per tutti. Oggi come oggi io e Giorgio siamo sempre gli stessi, cioè con i nostri difetti, i nostri caratteri, litighiamo quando dobbiamo litigare però lo sguardo dell’uno sull’altra è completamente diverso, e riusciamo a tenere testa al nemico solo ed esclusivamente perché oggi voglio amarti e domani ricominciamo.
Nel concreto cosa hai fatto di nuovo?
Tanti matrimoni guariscono, anche dopo adulteri, grazie alle armi spirituali, e non c’è psicologo che tenga. Lo psicologo è utilissimo e importante, ma fino a un certo punto. Perché tante coppie vengono da noi dopo essersi già rivolti a questi professionisti, l’unico terapeuta che conosce il tuo cuore è Gesù! Poi c’è la terza arma spirituale che è la preghiera di guarigione, per questo da anni collaboro con sacerdoti esorcisti. Se il marito o la moglie – sposati in Cristo – sono schiavi di vizi come la lussuria, la droga, la pornografia ecc… allora devono ricorrere all’aiuto gratuito della Chiesa che sana attraverso la preghiera di guarigione.
Come si è sviluppato il vostro servizio di sostegno alle coppie in crisi?
Da un certo punto il Signore ha iniziato a mandarci tante coppie e la nostra casa si è trasformata in un luogo di accoglienza, fatto di persone, colloqui, sacerdoti. Siccome io sono molto devota ai santi, intensamente presenti nella nostra vita, ho cominciato a chiedere l’intercessione della prima coppia beatificata: Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi. Nel giro di una settimana ho conosciuto a Roma l’ultima loro figlia, ora Serva di Dio, Enrichetta.
Oggi sono più di 20 anni che facciamo questo servizio a sostegno delle coppie, questo accompagnamento, e siamo madrina e padrino di 57 figliocci di battesimo. Una cosa straordinaria che capiremo ancora più profondamente quando saremo in Cielo. Abbiamo fondato a Perugia AMarLui, associazione Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi e grazie ad essa il nostro Vescovo di Perugia il Cardinal Bassetti (presidente della Cei) ci ha affidato la custodia del Santissimo Sacramento. Noi abbiamo Gesù a casa per sostenerci a portare avanti la nostra missione particolare che cresce di anno in anno. Attualmente i nostri appuntamenti spirituali sono: il cenacolo di preghiera qui a casa nostra dove vengono anche 70/80 persone, covid a parte, una catechesi mensile dedicata alle coppie che viene ascoltata in quasi tutta Italia, eventi con ospiti, ritiri, seminari di guarigione, tutto sempre accompagnati da sacerdoti.
Cosa senti di dire alla luce della tua esperienza alle donne sposate che vivono un cammino di fede in solitudine?
Dobbiamo chiederci: come mai nella maggior parte dei casi è sempre la donna che traina la fede nella coppia? Posso dire per la mia esperienza che se davvero incontriamo Cristo nella nostra vita noi non avremo paura di nulla, perché nel camminare con Gesù io so che l’altro vedrà Gesù in me. Dobbiamo essere spose sempre più simili a Cristo e i mariti arriveranno a dire: “ammazza che bello ciò che fai! è così bello che voglio farlo anche io”. Ad iniziare un cammino di fede sono le donne perché Dio prima di tutti ha scelto Maria, si è mostrato risorto alle donne il mattino di Pasqua. Siamo noi che dobbiamo portare l’uomo alla fede, c’è tanto senso di maternità in questo, non la donna mammina, ma in quanto capace di accoglienza spirituale. Noi dobbiamo essere così “educate” dal Signore perché tutti gli uomini hanno bisogno che la donna, donata nel matrimonio, li conduca alla fede.
Non si deve parlare al marito di Dio ma a Dio del marito. E bisogna voler fare ricco il proprio sposo con l’aiuto di Gesù e la Madonna, al di là di quello che lui farà per noi.
tratto da Aleteia.org