Ascolta il Vangelo
“Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare”. Basterebbe questa annotazione iniziale del vangelo per poter riempire tutta la nostra giornata dello strano effetto che dovrebbe suscitare in ciascuno di noi pensare al fatto che Gesù prega. Noi che siamo abituati a pensare in termini di autosufficienza, non riusciamo a spiegare il motivo per cui Gesù, che in teoria non dovrebbe aver bisogno di niente e nessuno, si fa costantemente bisognoso nella preghiera. Forse dovremmo convertire il nostro modo di intendere Cristo e di intendere la preghiera. Fatto sta che da questo “incontro” Gesù tira fuori una domanda serissima: “I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio»”. Rispondere correttamente a questa domanda, così come fa Pietro, non è attitudine o bravura nostra, è dono. La fede è dono. E la fede è poter dire il nome e il cognome di ciò che stiamo cercando: “Gesù è il Signore”. Ma Cristo immediatamente aggiunge a questa consapevolezza nuova, nata nei discepoli, il realismo cristiano: «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Cioè credere non ci risparmia la fatica della vita. Sapere perché vale la pena vincere le olimpiadi non ci esime dalla fatica dell’allenamento, anzi la motiva di più. La fede dovrebbe motivarci di più a vivere bene anche ciò che nella vita non ci piace ma esiste comunque. Sulla domanda “chi è Gesù per me?” si basa ogni autentica conversione cristiana. Quando ci sentiamo interpellati personalmente da Cristo allora tutto può cambiare: non più un’educazione ricevuta ma una persona incontrata, ecco cosa diventa il cristianesimo. Ma nessuno può rispondere al posto tuo.
Lc 9, 18-22
L. M. Epicoco