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“Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. La curiosità di questa domanda credo venga incontro a una preoccupazione che più o meno tutti abbiamo nel cuore. Forse tutto nasce da due idee distorte: la prima è credere che “tanto Dio è buono” e quindi noi possiamo vivere da spensierati senza mai mettere in gioco la nostra libertà; la seconda è pensare che ci si salva in base a quanto siamo bravi. Gesù è lapidario: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete!””. Che dolore profondo arrivare davanti a chi ti ama e renderti conto che in realtà siete come due estranei: arrivare davanti a chi ti ama e sentirti dire “non so chi sei”. È un dolore che ci racconta che quel mancato riconoscimento non è per colpa di Dio ma più che altro per responsabilità nostra, perché capita sovente che certe volte noi diciamo di amare, ma in realtà quell’amore nasconde solo un egoismo e un narcisismo autoreferenziale che non ci fa mai incontrare l’altro ma solo noi stessi, i nostri bisogni e le nostre aspettative. Tu puoi vivere anche cinquant’anni in casa con una persona che hai sposato e renderti conto dopo tutti quegli anni di essere degli estranei che hanno semplicemente convissuto insieme, solo perché ognuno ha preso sul serio esclusivamente i propri bisogni e le proprie aspettative e non si è mai accorto del volto dell’altro. È così con Dio: ci siamo riempiti la bocca di Lui, ma non ci siamo mai preoccupati di dargli spazio. Lo abbiamo usato ma non incontrato. La porta stretta rappresenta il grande sforzo di svignarcela dal carcere del nostro egoismo.
Lc 13, 22-30
L. M. Epicoco