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Questa figlia di Abramo non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 13,10-17
In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta.
Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.
Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».
Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.
Parola del Signore
Commento di don Luigi Maria Epicoco:
Diciotto anni non sono pochi, nella nostra società sono il tempo necessario ad essere considerati adulti. Ma i diciotto anni citati nella pagina del Vangelo di oggi sono legati ai diciotto anni di sofferenza di una povera donna: “C’era là una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma; era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo”. Alcune difficoltà che incontriamo nella vita assomigliano a questa malattia: ci imprigionano fino al punto da costringerci a guardare a terra, a perdere l’orizzonte, a non riuscire in nessun modo ad alzare lo sguardo. Non è tanto importante domandarsi cosa ci ha ridotti in quel modo, ma è importante domandarci se si può esserne liberati. Infatti la donna di cui si racconta oggi nel Vangelo è talmente tanto ripiegata sul suo male che non parla, non si rivolge a Gesù chiedendo aiuto, è semplicemente lì con il suo dolore. Ma Gesù la vede, la prende a cuore, fa qualcosa per lei: “Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei libera dalla tua infermità», e le impose le mani. Subito quella si raddrizzò e glorificava Dio”. Sappiamo che è un miracolo da questo dettaglio importante: questa donna glorifica Dio, cioè è piena di gratitudine. Non perde tempo a colpevolizzare qualcuno per quei diciotto anni passati in quel modo, è proiettata invece a non sprecare ciò che le resta. La gratitudine è il segno più bello del passaggio di Dio nella nostra vita. Ma un simile miracolo non suscita gratitudine in tutti. Il capo della Sinagoga reagisce in maniera contraria: “Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, rivolgendosi alla folla disse: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato»”. Ecco la grande differenza: Gesù prende a cuore il dolore di questa donna, il capo della Sinagoga lo schema della Legge. Questi sono due modi con cui si può essere credenti, ma sappiamo che solo il primo è quello giusto.