«Dolcetto o scherzetto?», lo slogan tipico di Halloween, è diventato ormai virale. Così come questa sorta di carnevale fuori stagione, che vede il trionfo – anche mediatico – di zucche scavate e trasformate in volti inquietanti, teschi e scheletri, maschere, travestimenti mostruosi e in generale di un immaginario horror da quattro soldi.
Come se non bastasse la cronaca di tutti i giorni a far entrare nelle nostre case gli orrori purtroppo autentici di guerre, violenze, devastazioni climatiche e distruzioni tragicamente assortite.
Ora però la domanda di fondo è: che cos’è Halloween? Un momento di evasione tutto sommato innocuo, uno scherzetto appunto, come il furbo slogan sembra suggerire, o qualcosa di più serio, sul quale vale la pena di soffermarsi con una riflessione che prenda in esame i diversi aspetti di un fenomeno ormai troppo pervasivo per essere relegato alla sfera meramente ludica?
La prima cosa che colpisce è proprio la stratificazione di significati e di interessi che stanno dietro questa “festa”. C’è la spinta commerciale, innanzitutto, se solo si considera l’entità non da poco del giro di affari generato da Halloween. Alcuni studiosi di marketing spiegano l’esplosione di questa moda con il fatto che mancava tra Ferragosto e Natale un appuntamento che spingesse l’acceleratore dei consumi voluttuari.
Perciò Halloween verrebbe a colmare il vuoto completando l’”anno liturgico del consumismo” che si sovrappone a quello autentico e in alcuni casi scippa del loro significato vero persino le più importanti feste cristiane.
C’è poi l’aspetto culturale, antropologico, e in definitiva educativo, che salta agli occhi quando entrano in gioco categorie distorsive dell’umano come la dimensione del mostruoso. E c’è anche il versante religioso, perché, anche a prescindere dalla sospetta vicinanza alla festa di Ognissanti (guarda caso “vampirizzata”, è proprio il caso di dirlo, dall’enorme gran cassa che enfatizza Halloween), la macabra carnevalata che va in scena in questi giorni richiama il rapporto con l’aldilà.
Su questo versante, anzi, la fenomenologia di Halloween finisce di fatto per concretizzarsi in una delle tante schizofrenie del nostro tempo: da un lato la crescente difficoltà di molti a credere in una qualsiasi forma di vita oltre la morte, dall’altro il diffuso ricorso a figure come fantasmi, zombie, vampiri e diavoli che vanno a configurare una sorta di pantheon degli inferi e che debordano pure in film, romanzi, fumetti, serie tivù, spesso di grande successo.
Senza voler vedere il male ovunque, è bene avere nei confronti di Halloween, specie se si è genitori e in senso più ampio educatori, una buona dose di prudenza.
Qualche anno fa, in un’intervista ad “Avvenire”, padre Francesco Bamonte, uno degli esorcisti più conosciuti e apprezzati a livello internazionale, così si esprimeva: «A me sembra che Halloween di fatto non proponga niente di vero, niente di buono e non mi mostri niente di bello. Di conseguenza non mi sento aiutato ad essere più vero, più buono e a percorrere un cammino di bellezza e questo mi preoccupa dal momento che mi è stato insegnato che è la Bellezza che salverà il mondo».
Ecco, dunque, la questione di fondo. Qual è l’antropologia di riferimento di Halloween? Quale immagine trasmette dell’uomo e del senso della vita? Una visione noir, popolata di mostri, con l’esaltazione di aspetti splatter è davvero preferibile alla bellezza di un’esistenza spesa per gli altri e coronata dalla vita senza fine, nell’abbraccio dell’amore di Dio, come avviene per i santi? E per quelli che tendono a sminuire, siamo proprio sicuri che questo immaginario horror non abbia conseguenze sulla psiche dei bambini?
Domande che occorre porsi, se davvero non si vuole finir preda della martellante pubblicità che attraverso l’apparentemente innocua logica del “dolcetto o scherzetto” rischia di trasformare anche le nostre menti, e quelle dei più giovani in particolare, in zucche vuote.
di Mimmo Muolo
da Avvenire