Dallo studio dei ricercatori del Cnr e dell’Istat, sempre più persone tra i 14 e i 19 anni scelgono di non avere relazioni sociali. E uno su dieci incontra gli altri solo a scuola
Prendete un adolescente che non riesce a instaurare relazioni sociali soddisfacenti né in famiglia – magari una di quelle disfunzionali – e tanto meno fuori; un ragazzo che ha avuto a che fare con i bulli o con i ciberbulli, che ha poca stima di sé perché non ha il profilo della persona di successo richiesto dalla nostra società dell’apparenza e neppure il suo specchio riflette un’immagine all’altezza dello standard: ecco, da questa miscela esplosiva di ingredienti ha origine il candidato ideale al ritiro sociale, all’isolamento volontario e prolungato. Sono più di quanti si immagini, questi adolescenti a rischio, che una ricerca fresca di stampa su Scientific-report chiama “lupi solitari”: poca relazione, molta connessione, troppi social. Più che triplicati in tre anni, passati dal 15 al 39,4%, in pratica due su cinque, come dettaglia il lavoro condotto dal Musa, il gruppo di ricerca sui “Mutamenti sociali, valutazione e metodi” del Cnr di Roma: autori Antonio Tintori, Loredana Cerbera e Giulia Ciancimino, in collaborazione con Gianni Corsetti dell’Istat.La ricerca si è basata su due lavori trasversali effettuati dal gruppo nel 2019 e nel 2022 su 3.272 studenti di scuole superiori e su 4.288 adolescenti rappresentativi a livello nazionale, tutti con un’età compresa tra i 14 e i 19 anni.
Nei lupi solitari la tendenza al ritiro sociale è accentuata ma lo è ancora di più in un sottogruppo individuato al loro interno: è composto da adolescenti che incontrano i loro coetanei solo al scuola e per il resto li evitano. Il loro numero è quasi raddoppiato dopo la pandemia: erano il 5,6% degli adolescenti nel 2019, nel 2022 passati al 9,7%. «L’ipotesi – spiega Antonio Tintori, tra gli autori della ricerca – è che con il trascorrere del tempo questi soggetti si distacchino anche dalle relazioni virtuali, da quella connessione costante che ha indotto il loro isolamento. Si approssimano così a entrare nella categoria degli hikikomori». Un fenomeno non nuovo che definisce una forma acuta di esilio volontario dal mondo che si è diffusa in Giappone a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, studiata dallo psichiatra Tamaki Saito che le diede anche il nome. «Non è questa, ancora, la condizione di quel 10% di ragazzi. A salvarli – prosegue Tintori – è l’obbligo alla frequenza scolastica, almeno fino a 16 anni. Cosa succederà dopo non possiamo ancora dirlo. Dal prossimo 3 febbraio e per cinque anni seguiremo quattromila adolescenti, un’indagine enorme, che si chiama “Mutamenti interazionali e benessere” per indagare e comprendere meglio i fattori che conducono all’autoisolamento». E nell’era della generazione Betha, la prima che vivrà fianco a fianco con l’intelligenza artificiale fin dalla culla, non è possibile che proprio le sempre più strette interazioni con l’AI – di cui ci si può anche innamorare (è successo alla 28enne Ayrin, come ha raccontato recentemente il New York Times) – finiscano per esarcerbare il problema, rendendo ancora più desiderabile isolarsi dagli umani? «E chi lo può dire? È probabile che presto esisteranno studi in proposito ma fino ad allora siamo nel campo delle ipotesi. Certo è – prosegue Tintori – che se un ragazzo sperimenta più empatia mettendosi in relazione con ChatGpt… Il problema lo abbiamo noi adulti e riguarda la nostra capacità di relazione più che quella dei nostri figli».
tratto da Avvenire