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Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 22,1-14
In quel tempo, Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Parola del Signore.
Commento di don Luigi Maria Epicoco:
Chissà se l’idea di pensare la vita come una festa troverebbe davvero tutti d’accordo. Ma è l’immagine che Gesù usa per spiegarci le intenzioni di Dio su ciascuno di noi nel Vangelo della XXVIII domenica del tempo ordinario. C’è un re che ama suo figlio e gli prepara una festa di nozze indimenticabile. C’è tanta gioia in questa casa e tanto desiderio di condividerla con gli altri. Gli invitati sono i destinatari di questa condivisione, ma a quanto pare la loro risposta non è la gratitudine ma bensì l’indifferenza: “Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero”. Non è difficile capire la metafora che Gesù usa per spiegarci Dio: in Lui c’è una gioia infinita, ma questa gioia non è prigioniera di un autosufficienza che fa dire a Dio “sono felice io e degli altri non mi interessa”. La sua gioia è una gioia relazionale non una gioia autoreferenziale. È gioia per suo figlio (Gesù). Loro si amano e c’è gioia nel loro amore, ma invece di bearsi chiudendosi in una relazione già ricolma di tutto, essi si aprono alla condivisione. Gli invitati (noi) invece di accettare quest’apertura, la snobbano come se esistesse qualcosa di meglio. La reazione di Dio non è rovinare la festa ma cambiare gli invitati: «“La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali». Coloro che pensano di avere l’invito in mano si ritrovano scartati, e quelli che potevano considerarsi irregolari si ritrovano coinvolti nel banchetto. Il Vangelo, cioè la buona notizia che Gesù è venuto a donarci, è proprio questa: l’Amore di Dio non è prerogativa di quelli che pensano di meritarlo, ma di coloro che hanno l’umiltà di accoglierlo. È l’accoglienza di questo Amore che ci santifica non la semplice irreprensibilità dagli errori umani. Si può anche non commettere molti peccati ma accontentarsi solo di questo, e si può invece sbagliare molto e aprirsi invece all’accoglienza dell’amore di Dio. Siamo credenti quando accettiamo questo amore e non quando ci accontentiamo di astenerci semplicemente dal peccare.
Ma a questo punto potrebbe venirci il dubbio che il Vangelo dica “va bene tutto, quindi possiamo anche essere strafottenti tanto alla fine l’amore di Dio ci salva”. Ecco però che Gesù conclude la storia con un’annotazione: “Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti»”. Cosa rappresenta l’abito nuziale? Il mio possibile, il mio quotidiano tentativo di provare a vivere scegliendo il bene. Poi magari non ci riuscirò, ma non è possibile voler partecipare alla gioia che Dio dona senza almeno presentarci a Lui nel migliore dei modi possibili. In fondo quel re non aveva chiesto abiti firmati, ma solo la delicatezza di presentarsi in maniera dignitosa. Ognuno di noi conosce il proprio possibile, e deve sapere che anche se non basta ha il dovere però sempre di offrirlo tutto.