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Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 22,15-21
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Parola del Signore
Commento di don Luigi Maria Epicoco:
Cesare chi? Sembra questa la risposta che Gesù dà a chi lo mette alla prova nel passo del Vangelo della XXIX domenica del tempo ordinario.
Gli imperi si sono costruiti nella storia a partire da una semplice idea di fondo: si può coltivare un’idea di dominio fino al punto da assoggettare persone e cose, riducendole a una proprietà propria. Per questo chi costruisce imperi lo fa pensandosi un po’ Dio. E proprio per questo appiccica il proprio logo su ogni cosa per fare quello che fanno solitamente i cani quando frequentano un luogo nuovo, segnare il territorio. Per quanto possa sembrare brutale questa semplice analisi in realtà ci accorgiamo che in misura diversa ciascuno di noi può cadere nella medesima tentazione che è proprio quella di voler trattare gli altri e il mondo come se tutto fosse proprietà personale. Tutto l’insegnamento di Gesù ha come scopo principale la liberazione. Ma la sua non è una liberazione politica come alcuni suoi discepoli speravano. Gesù non considera in nessun modo l’impero romano degno di interesse. L’unica cosa che gli interessa è il cuore dell’uomo, e quel cuore può battere in un romano, in un ebreo, in una donna, in un bambino, in un re e in uno schiavo. Ciò che c’è fuori a Lui non interessa, è invece interessato a ciò che c’è dentro, a quello spazio di libertà che rende un uomo realmente libero e quindi realmente umano. Ecco perché è così lapidario nel rispondere a coloro che lo stanno mettendo alla prova per incastrarlo in qualche bega politica dell’epoca: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Agli imperi di questo mondo (politici, culturali, economici) va restituito ciò che è loro. Ma nessuno di essi può vantare di possedere l’essere umano, perché ogni donna e ogni uomo portano impressi su di essi un’immagine che vale più di quella di Cesare. È l’immagine di Dio. I soldi li possiamo dare al Cesare di turno, ma le persone non sono mai di Cesare perché sono di Dio. Ed essere di Dio è solo un modo teologico di dire che ogni essere umano nasce per essere libero. Dio è l’unico padrone che non assoggetta ma che dona se stesso, è l’unico che intende il possesso come servizio, è l’unico che invece di disegnare il suo volto su di noi ha scelto di assumere il nostro su di Lui.