7 novembre 2010
XXXII domenica T.O (anno C)
Dal 2° libro dei Maccabei 7,1-2.9.14
Dal Salmo 16 (17)
Dalla 2^ lettera di S. Paolo ai Tessalonicesi 2,16-3,5
Dal Vangelo secondo Luca 20,27-38
La liturgia di questa 32^ domenica dell’anno C ci offre l’opportunità di meditare sopra uno dei temi più controversi della fede: la resurrezione dai morti. Per chi crede non dovrebbero esserci problemi mentre dobbiamo confessare che nell’affrontare questa verità non c’è molta differenza tra coloro che non professano la religione e molti credenti.
Dubbi, luoghi comuni e soprattutto ignoranza delle verità di fede e dello stesso vangelo portano alcuni verso contorte spiegazioni, fondate sul nulla. Si passa dal dubbio al credere alle più deleterie teorie sul mondo dell’aldilà, dall’aderire a pseudo-religioni alla reincarnazione fino a sostenere presunti contatti con le anime attraverso i più svariati mezzi quali la scrittura, i registratori, le sedute spiritiche.
Tanto tempo perso dietro ritualismi inutili ignorando totalmente il fulcro della nostra vita di fede: Gesù Cristo morto e risorto!
Ci nascondiamo dietro scuse: vorremmo credere, ma la “ragione” o meglio i ragionamenti vani ci portano da tutt’altra parte. Su cosa fondiamo i nostri discorsi? In che cosa siamo radicati o meglio in Chi abbiamo riposto la nostra speranza?
La prima lettura racconta, anzi riporta la documentazione della fede di un’intera famiglia composta dalla mamma e da sette figli. Essi “furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite”. Tutti, ad uno ad uno, si rifiutarono di trasgredire la legge e, nonostante le torture e la conseguente morte tra atroci tormenti, proclamarono «…Ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna».
La storia dei sette fratelli Macabri è emblematica: la loro fede nella resurrezione, il coraggio nell’affrontare il martirio e la forza della testimonianza sono giunti fino a noi con una tale carica di incisività da scuotere le nostre coscienze ogni volta che viene letta. Noi non siamo sottoposti a nerbate o a flagelli, non rischiamo la vita eppure la nostra fede nella resurrezione è quanto meno flebile. Perché?
Nell’animo di ogni uomo c’è una tale sete di eternità che molte azioni vengono fatte in vista di un futuro migliore: i progetti, i sacrifici, perfino avere dei figli significa in qualche modo anticipare il domani, pensare al futuro anche se solo in termini di anni. Tutto questo slancio in avanti è positivo, ma molto parziale se lo sguardo, meglio il cuore, non aspira all’eternità.
Tanta gente cerca Dio, si rammarica della poca fede, fa cammini esperienziali, va nei santuari, ma rimane nel dubbio circa la resurrezione. Ci poniamo domande un po’ come i sadducei “– i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto:..”. Una domanda simile alle nostre: Rivedrò mio figlio? Mia madre? Mio marito?
Se per tutta la vita abbiamo sinceramente cercato Dio perché togliere a noi stessi la speranza di vederlo “faccia a faccia” come dice la Scrittura? Non risorgeremo per noi stessi o per ricreare le stesse piccole e fragili relazioni che abbiamo vissuto nel mondo: risorgeremo per stare eternamente laddove la nostra anima anela stare già da questa terra.
Il responsorio del salmo dice: “Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto”; solo così riempiremo la nostalgia di cielo che abbiamo; saremo colmati di amore come mai abbiamo immaginato, disseteremo la nostra sete di conoscenza della verità, apriremo il nostro cuore ad una preghiera di lode infinita, vivremo nella pace, nella gioia, nella felicità eterna; in una parola: vivremo in Dio.
In questa nuova vita ogni bene, ogni affetto vissuto sulla terra acquisterà nuovo valore; i nostri occhi non cercheranno i volti noti di chi abbiamo amato quanto piuttosto scopriremo la felicità di essere insieme davanti al Creatore. Ogni bicchiere d’acqua, dato per amore del Signore, si trasformerà in fiumi di benedizioni, ogni amicizia sincera e ogni aiuto dato diventeranno motivi di gioia.
E allora perché non vivere e lottare per raggiungere questa meta benedetta? Perché intristirci ripiegandoci sui nostri corti metri di giudizio? Gesù nel vangelo di oggi ci ricorda che “…quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti…. non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio”.
Signore Gesù, ti lodo, ti benedico e ti ringrazio: con la tua resurrezione hai vinto la morte e ci hai donato una vita nuova, eterna ed incorruttibile. Quando tu ci chiamerai vogliamo, come il popolo eletto liberato dalla schiavitù, passare il guado e camminare all’asciutto, finalmente liberi, nella terra dei viventi, di coloro che già sono davanti “al trono e all’Agnello” come dice l’Apocalisse. Perdona i nostri dubbi e le nostre incertezze; troppo spesso abbassiamo lo sguardo sulle cose del mondo dimenticando che siamo stati creati per l’eternità. Sostienici nel cammino ravvivando in noi il desiderio di vivere nella beatitudine della Santissima Trinità. Amen.
CB 07.11.2010 MTM