Non sono un fanta­sma! Mi colpisce il la­mento di Gesù, una tristezza nelle sue parole, ma ancor più il suo desiderio di essere toccato, stretto, ab­bracciato come un amico che torna: Toccatemi. E pronun­cia, per sciogliere le paure e i dubbi, i verbi più semplici e più familiari: Guardate, toc­cate, mangiamo! Non a visio­ni d’angeli, non a una teofa­nia gloriosa, gli apostoli si ar­rendono ad una porzione di pesce arrostito, al più fami­liare dei segni, al più umano dei bisogni. Gesù vuole en­trare nella vita concreta dei suoi, esserne riconosciuto co­me parte vitale. Perché anche il Vangelo non sia un fanta­sma, un fumoso ragionare, un rito settimanale, ma roccia su cui costruire, sorgente alla quale bere. La bella notizia: Gesù non è un fantasma, ha carne e sangue come noi. Questo piccolo segno del pe­sce, gli apostoli lo daranno come prova: noi abbiamo mangiato con lui dopo la sua risurrezione (At 10,41). Perché mangiare è il segno della vita; mangiare insieme è il segno più eloquente di una comu­nione ritrovata, che lega in­sieme e custodisce e accresce le vite, figlio delle nostre pau­re o delle nostre speranze. Il Risorto non avanza richie­ste, non detta ordini.

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